Gamification: ecco cosa significa rendere tutto un gioco
La Gamification è un trend di questo decennio, occorre dirlo. Gamification sembra essere la parola degna erede di “resilienza”, in quanto a diffusione in contesti non sempre calzanti; si tratta di un termine con una vocazione sicuramente più internazionale e ancor più orizzontale.
Possiamo dire sommariamente che con il termine gamification si intendono tutti quei meccanismi di videogioco, o gioco in generale, riprodotti o introdotti in contesti esterni al gioco. Una sorta di contaminazione nerd, se vogliamo.
Quando nasce la gamification?
Difficile dirlo, forse è sempre esistita, ma siamo arrivati non da molto a darle un nome. Sappiamo che il termine viene utilizzato nella sua lingua di nascita, l’inglese, già nel 2008 parlando di una certa tendenza del web design a ricordare alcuni meccanismi di videogioco per far risultare più attraenti i siti web. Il termine inizia a diffondersi nel 2010. Quell’anno il termine Gamification è apparso in quasi 1 milione e mezzo di pagine tracciate su Google e in una miriade di tweet in pochi mesi. Nel 2013 arriva anche in Italia e da noi viene subito associato all’ambito marketing. Abarth aveva usato la gamification, a detta di un articolo di Repubblica.it, per coinvolgere la community della casa automobilistica in una serie di prove virtuali sulla propria piattaforma web. Nel 2018 Alessandro Baricco scrive un libro intitolato “The Game” e “il gioco” è tutto, è il mondo in cui viviamo: il mondo è stato gamificato, almeno secondo la sua teoria: «Il gioco è basato sulla capacità di dare il giusto ‘design’ alle informazioni, nascondere la complessità in profondità e rendere la superficie delle cose facile da attraversare». Il gioco semplifica, il gioco diverte, ma mentre lo fa il gioco insegna, il gioco pubblicizza, il gioco plasma le menti (per gli amanti del complotto).
Un’ulteriore interessante definizione ce la offre Fabio Viola (che non è Fabio Volo) e che alla gamification ha dedicato un intero sito internet: «Gamification quindi assume un significato del tipo “il processo di rendere giocabile qualcosa che originariamente non lo è». E quando qualcosa è giocabile, diventa divertente, diventa godibile.
A One Way Out l’intuizione che il gioco fosse qualcosa di aggregativo e potente l’abbiamo avuta per tempo. Ma negli ultimi anni ci stiamo rendendo sempre più conto di quanto il gioco sia strumento didattico, formativo, persuasivo. La gamification si può applicare al recruiting, alle attività di team building, alla risoluzione dei conflitti, al marketing e perché no, alla scuola.
Un esempio di gamification applicata alla brand awareness è stato il progetto che abbiamo portato avanti grazie alla nostra game master Chiara Listo con ISPIC e di cui vi abbiamo parlato qui.
Perché il gioco è così efficace?
Noi ci facciamo questa domanda molto spesso e quando ricordiamo anche la risposta, siamo sempre più convinti di quello che facciamo. Il gioco funziona perché emoziona e le emozioni sono tramite fondamentale dei ricordi e quindi delle conoscenze inamovibili. Volete un esempio banale? Quando vi presentate a una persona nuova, o meglio ancora, ad un gruppo di nuove persone, è probabile che nel giro di pochi secondi vi siate dimenticati i nomi di tutte le persone a cui avete stretto la mano. Spesso siamo più concentrati a dire il nostro nome che a sentire quello degli altri. Quel nome nuovo è piatto, privo di emozione, dimenticabile.
Alle feste dei bambini tra i 3 e i 10 anni circa, si usa fare un gioco per imparare i nomi di tutti, per essere certi che rimangano fissi nella memoria del gruppo. Si imparano i nomi di tutti non tanto perché i nomi vengono ripetuti, ma perché c’è in gioco la vittoria o la sconfitta: in gioco ci sono emozioni come la paura, il coraggio, la timidezza, l’ansia. E legati a queste emozioni si legano i ricordi, in questo caso, i nomi.
Capite bene che qualsiasi nozione o insegnamento è tanto più forte e memorabile quanto maggiormente viene legato a un’emozione. Questa è in fondo l’intuizione geniale della gamification. Generare emozioni di gioco e consolidare messaggi, oltre che ingaggiare l’utente, appassionarlo, drogarlo di quella voglia di punti che teneva i preadolescenti della mia generazione attaccati allo schermo di telefonini in bianco e nero a giocare a Snake per ore.
La gamification ci ha già sommersi: pensate alle recensioni? Alla lotta per la conquista delle stelline. Alle strategie per ottenerle e a quella per rimediare a una recensione negativa. Siamo immersi nel gioco del gradimento popolare, attraverso social, like, commenti e views. E siamo immersi nel “gioco”, anche quando non siamo noi a chiederlo: pensare alla lotteria degli scontrini per la lotta all’evasione fiscale e ovviamente alla raccolta punti del supermercato sotto casa.
Nei prossimi articoli vi racconteremo alcune declinazioni della gamification che oggi trovano un’applicazione pratica ed efficace.
- La gamification in fase di recruiting
- La gamification in ambito scolastico
- La gamification nel marketing
Quando vi è capitato di notare della “gamification” intorno a voi?
Presto torneremo a parlarne, voi iniziate a pensarci.